Last Updated on Novembre 20, 2024 by devange.it
Michael Bierut (1957, Cleveland) è un importante graphic designer partner presso Pentagram, studio di design con sedi a New York, Londra, Berlino e Austin.
Bierut ha iniziato la sua carriera lavorando per Vignelli Associates, lo studio di design guidato dai celebri designer Massimo e Lella Vignelli. Bierut lavorerà per la Vignelli Associates per 10 anni. “Il design – spiega Bierut nel libro “How To” – era una vocazione sacra: praticando la professione stavi impegnandoti in una lotta contro la stupidità e la bruttezza”.
Nel 1990 Bierut diventa partner presso Pentagram,
Bierut ha contribuito alla realizzazione di progetti iconici. Tra i lavori più famosi ci sono quello per il New York Times (environmental graphics), il logo per la campagna presidenziale di Hillary Clinton nel 2016, i poster per Parallax Theatre, Yale school of Architecture e Architectural League of New York, e i rebranding per le identità visive di Saks Fifth Avenue, Billboard, Mohawk, Museum of arts and design (MAD), MIT Media Lab, Brooklyn academy of music (BAM), International center of photography (ICP), Slack, Vroom e New Jersey Nets.
Bierut ha vinto numerosi premi e alcuni dei suoi lavori sono stati esposti nei più famosi musei del mondo, ha scritto diversi libri di successo (tra cui “How To” e “Now you see it”) ed è il cofondatore del sito Design Observer.
Il libro “How to” di Bierut è una raccolta di saggi e casi studio che esplora il mondo del design grafico attraverso l’esperienza personale e professionale dell’autore. Pubblicato nel 2015, il libro offre una visione unica su come il design possa essere applicato per risolvere problemi, comunicare idee e influenzare la cultura. Nel libro Bierut rivela anche quali siano stati “i tre libri che gli hanno cambiato la vita: Aim for a Job in Graphic Design/art di S. Neil Fujita, Graphic Design Manual: Principles and Practice di Armin Hofmann e Graphic Design di Milton Glaser”
“How to” copre una vasta gamma di argomenti legati al design, come la creazione di identità visive, il design per istituzioni culturali, l’uso della tipografia e la progettazione di campagne pubblicitarie. Ogni capitolo è arricchito da aneddoti, illustrazioni e esempi di progetti reali a cui Bierut ha lavorato nel corso della sua carriera.
All’interno del libro l’autore spiega alcuni elementi centrali della sua visione della professione: “Il graphic designer non è solo un creatore di forme bensì un comunicatore di idee”. Molti gli spunti per capire il suo approccio alla generazione di loghi (“Il logo? È la forma più semplice di comunicazione grafica. In sostanza è una firma, un modo per dire ‘Questo sono io'”) e identità visive in generale (“L’identità di un’azienda deve essere autentica e coerente, ma mai congelata nel tempo”).
In “How to” si spiega come sia nata l’idea di diversi loghi, tra cui ad esempio quello per MAD e Mohawk.
La geometricità del nuovo logo per il Museum of arts and design di Manhattan nasce dall’osservazione delle semplici forme (“squares and circles”) caratterizzanti l’edificio in cui si trova il museo e la piazza (Columbus Circle) in cui esso sorge. “Mi concentrai sulle tre lettere che componevano l’acronimo del museo – spiega Bierut – e mi chiesi se esse potevano essere rappresentate all’interno di quadrati e cerchi: la risposta fu sì. Grazie a geometrie semplici il problema era stato risolto”
La nuova identità visiva per la Mohawk, azienda specializzata nella produzione di carta pregiata? Bierut spiega che la M del logo evoca quattro concetti specifici: i rotoli di carta non tagliata sul pavimento della cartiera, il meccanismo della stampa offset, la circolarità digitale e l’idea di connessione.
Per l’identità visiva del MIT Media Lab – spiega sempre Bierut in “How to” – si parte invece dal logo realizzato nel 1962 da Muriel Cooper per MIT Press. Alla base di tutto c’è una griglia grafica 7×7 grazie a cui viene ideato un semplice monogramma ML: “Utilizzando la stessa griglia, abbiamo esteso lo stesso linguaggio grafico a ciascuno dei 23 gruppi di ricerca che sono al centro delle attività del Lab. Il risultato è una famiglia interrelata di loghi che stabilisce contemporaneamente un’identità fissa per il Media Lab e celebra le diverse attività che rendono grande il Lab”. Il font usato continua ad essere l’Helvetica.
Interessante anche la spiegazione (“How to create identity without a logo”) del processo creativo che ha portato alla realizzazione della nuova identità visiva della BAM, la Brooklyn academy of music. I vertici della BAM non chiedevano un logo. Bierut – ricordando l’approccio usato dal famoso pubblicitario Helmut Krone – crea un’identità visiva basata sulla scritta BAM realizzata con il font News gothic, una scritta però stagliata, “come se non riuscisse ad entrare nello spazio ad esso adibito”. Un modo – spiega il partner della Pentagram – per comunicare l’approccio cross-borders dell’accademia: “È come se dalla finestra si vedesse un solo occhio di King Kong. Anche se non puoi vederlo per intero, sai che è molto grande”.
Bierut realizza inoltre il logo (“H plus arrow”) per la campagna di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali del 2016. “Sebbene avessimo esplorato dozzine di simboli – spiega lo stesso Bierut su Design Observer -quello a cui tutti si sentivano attratti era il più semplice di tutti: una H perfettamente quadrata. Ma la sua semplicità era ingannevole. Quello che sembrava una H era in realtà una finestra, capace di infinite trasformazioni. Poteva contenere immagini e colori, motivi e schemi. Poiché gran parte della comunicazione per la campagna sarebbe avvenuta digitalmente, il logo poteva cambiare in un attimo. Poteva essere personalizzato non solo da vari gruppi di interesse, ma anche dai singoli sostenitori. Era il sistema di identità dinamica per eccellenza”.
Poi la decisione di aggiungere una freccia: “Temevamo che la sola H, anche come cornice in continua evoluzione, fosse troppo statica. Alla fine, trovammo quello che pensavamo fosse il tocco finale giusto, la cosa più semplice del mondo: una freccia, che emergeva naturalmente dalla geometria della lettera, puntando in avanti, verso il futuro”. Il logo creato – spiega Bierut – non era né ingegnoso né artistico. Non mi importava di quello. Volevo qualcosa che non richiedesse un tutorial di software per essere creato, qualcosa di semplice come un segno di pace o una faccina sorridente. Volevo un logo che un bambino di cinque anni potesse fare con carta colorata e forbici da asilo.”
Per la tipografia fu scelto un carattere bold sans-serif disegnato da Lucas Sharp: “Barack Obama preferiva tutte le lettere maiuscole. Noi abbiamo consigliato di usare lettere maiuscole e minuscole: più amichevole, più conversazionale.”
“Non esistono caratteri tipografici predefiniti: la scelta di un carattere – ha dichiarato Bierut – significa sempre qualcosa. Una tipografia davvero buona è un design che aiuta il processo di lettura, sia che si tratti di una singola parola o di un libro di migliaia di pagine. Una buona tipografia è lo sviluppo di una voce”.
Il suo font preferito, oltre all’Helvetica? Lo Schmalfette Grotesk