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Graphic design

Logo design: logotipi, monogrammi e pittogrammi

Last Updated on Maggio 17, 2023 by devange.it

Cos’è il logo design: logotipi, monogrammi, pittogrammi, loghi negativi, loghi generativi e altre curiosità sul mondo della progettazione grafica.

Cos’è il graphic design

Il logo design – ossia la progettazione grafica di un logo – è uno dei principali settori di applicazione del graphic design.

Il compito del graphic designer in generale è quello di comunicare nel miglior modo possibile un concetto o un’informazione tramite l’utilizzo di lettere, colori, forme o immagini.

Il concetto di graphic design non è assimilabile a quello di arte. Il compito del graphic designer infatti non è quello di far riflettere o di stupire le persone. Il compito del graphic designer è invece quello di risolvere un problema ben specifico: trasmettere alle persone nel modo più chiaro possibile un determinato messaggio tramite l’utilizzo dei caratteri tipografici, i simboli e i colori.

Il graphic design si basa pertanto sul principio funzionalista “Form follows a specific function” (la forma segue la funzione). Il concetto è stato enunciato nel 1896 dall’architetto Louis Sullivan. Via pertanto qualsiasi ornamento o dettaglio che non sia funzionale alla comunicazione del messaggio che si vuole trasmettere.

Paul Rand, nel libro “Thoughts on design”, sostiene che il graphic desing non è utile se non viene considerato come uno strumento al servizio della comunicazione. “Graphic design – sostiene Rand – is not good design if it does not co-operate as an instrument in the service of communication”.

Paul-Rand-Thoughts-on-design
Thoughts on design

Campi di applicazione del graphic design

Il graphic design è applicato in una vasta serie di settori: grafica editoriale (giornali, magazine, libri, cataloghi) web template (siti ma anche e-mail o app), logo design, motion graphic, infografiche, posters o brochures per eventi.

Altri campi di applicazione importanti sono l’advertising (banner, social ads), il packaging, l’environmental graphic design e i cartelli per le indicazioni stradali.

Uno dei primi esempi di graphic design – inteso nella sua definizione moderna – risale al 1916 quando Edward Johnston effettua il rebranding del logo della metropolitana di Londra.

Ad influenzare lo sviluppo del graphic design sono stati soprattutto il costruttivismo degli anni Venti, il libro “Neue Typographue” di Jan Tschichold, il Bauhaus, Paul Rand, Adrian Frutiger, Alex Steinweiss e lo Swiss design

Cos’è il logo design

Uno dei settori in cui viene maggiormente applicato il graphic design è quello dei loghi. Il logo design può essere perciò definito come quel settore specifico del graphic design che si occupa della progettazione grafica del logo di un’azienda, di un’istituzione, di un’attività o di un evento.

La comunicazione visual oggi riveste un ruolo sempre più strategico per l’affermazione di un brand. E’ per questo motivo che il logo design riveste un’importanza sempre maggiore.

Cos’è un logo? Il logo è il segno grafico distintivo che identifica una determinata attività. Tramite il logo l’azienda cerca di distinguersi dalla concorrenza e di veicolare i propri valori, i propri ideali, la propria mission. Il logo comunica prima di tutto cosa l’azienda è, non che cosa l’azienda produce o vende.

Una delle cose più interessanti del logo design è scoprire che dietro un “semplice” logo può nascondersi spesso una storia o messaggi più o meno nascosti. Un logo non è dunque un freddo segno grafico, bensì un simbolo dietro cui si cela un insieme di valori e propositi.

Ogni elemento che costituisce il logo (caratteri, colori, simboli, ecc) deve avere un senso preciso: ogni dettaglio deve avere una funzione specifica. Quando si progetta un logo tutte le cose superflue che non possiedono una determinata funzione devono essere eliminate.

Il logo è la sintesi di tutto ciò che è il brand. Il logo rappresenta l’anima del brand, la sua essenza, la sua storia, la sua personalità. Non può esistere un brand senza un logo: un’azienda senza logo – parafrasando David Airey in “Logo Design Love” – sarebbe come un uomo senza un volto.

Semplicità, riconoscibilità e riproducibilità

Quali caratteristiche deve possedere un logo ben progettato? Per rispondere a questa domanda possiamo ricorrere a quanto dichiarato da Bob Noorda nel libro “Bob Noorda. Una vita nel segno della grafica”.

Bob Noorda
Bob Noorda – Una vita nel segno della grafica

Il logo dev’essere innanzitutto semplice. “Un segno grafico che in pochi tratti deve essere in grado di rappresentare un’azienda, una società, un’istituzione o un soggetto individuale”. Un logo “deve essere semplice perchè deve parlare al pubblico tramite un messaggio immediato, sintetico, riconoscibile e quindi facilmente comprensibile”. Il logo dev’essere inoltre progettato non per seguire la moda del momento, ma per durare.

Un logo ben progettato deve essere facilmente riproducibile “su ogni tipo di supporto e in ogni situazione”. E’ proprio per questo motivo – spiega Noorda – che per un logo devono esistere diverse declinazioni, ossia “versioni con caratteristiche differenti”. Un marchio deve infatti “poter essere riproducibile a colori e in bianco e nero, in positivo e in negativo”.

Leggibilità e appropriatezza

Senza contare che un logo dev’essere facilmente leggibile sia in grandi che in piccole dimensioni. Il logo deve poi essere facilmente memorizzabile, “quindi deve utilizzare un linguaggio semplice e comprensibile a tutti”.

Secondo David Airey (autore di “Logo Design Love”) un logo ben progettato deve possedere una sola cosa per essere riconoscibile, non due: “Offer one thing to remember. All strong logos have one single feature that helps them stand out […]. Leave your client with just one thing to remember about the mark you’ve created. One thing. Not two, three, or four. Just one”.

Un logo dev’essere inoltre appropriato rispetto al proprio settore di riferimento e al suo target. L’uso del comic sans – ad esempio – striderebbe con l’idea di serietà e professionalità che si vorrebbe esprimere nel campo delle assicurazioni o delle banche.

La maggior parte dei loghi viene applicata su uno sfondo bianco. Nel caso in cui il logo dovesse essere applicato su sfondi scuri, bisogna pensare alla realizzazione di una sua versione “negativa”. Non è sempre detto che per ottenere una versione negativa del logo basti colorare le parti scure originali in bianco. In alcuni casi – come è ben evidenziato anche da Modesto Garcia in questo interessante post – è opportuno apportare delle vere e proprie modifiche.

Attenzione inoltre all’illusione ottica denominata “irradiation illusion”: un’area bianca viene infatti spesso percepita come più grande rispetto a un’area scura della medesima dimensione).

Oltre il logo: la visual identity

il logo rappresenta senza dubbio l’aspetto più importante della comunicazione visual di un brand, ma non è il solo. Per comunicare al meglio i valori e la mission di un soggetto si deve porre grande attenzione anche all’immagine coordinata. L’immagine coordinata è composta da tutti quegli aspetti “visual” che possono contribuire a trasmettere l’identità del brand.

“Spesso – afferma Noorda – si tende, erroneamente, a limitare il solo marchio al progetto di immagine coordinata di un’azienda. Niente più sbagliato che ritenere, una volta fissato il marchio, di avere creato l’abito completo per la società. L’immagine coordinata aziendale è una struttura molto complessa, di cui il marchio è una parte fondamentale, ma non è tutto”.

La classificazione dei loghi: logotipi (wordmarks), monogrammi e pittogrammi (logomarks)

I loghi possono essere classificati in due grandi categorie: logotipi (wordmarks, o logotype) oppure pittogrammi (logomarks, pictorial marks). A questi due grandi insiemi possiamo aggiungerne un terzo: i monogrammi.

Vediamo nello specifico le caratteristiche principali di logotipi, monogrammi e pittogrammi.

Wordmarks (o logotipi)

I logotipi sono loghi basati sui caratteri che compongono il nome del brand: solo lettere dunque, niente simboli o altri segni grafici. L’azienda, per essere riconoscibile e distintiva, punta pertanto esclusivamente sull’utilizzo di caratteri tipografici e colori.

“Logotypes – scrive Michael Evamy nel libro “Logotype” – are where the verbal becomes visual”. Il logotipo viene usato in genere quando il brand ha un nome breve e distintivo (Google, Braun, eBay, Fender o Kleenex).

google

L’impatto dei logotipi è molto diretto: grazie al semplice nome si capisce subito di quale brand si parla. Il logotipo è spesso utilizzato anche da nuove aziende che hanno bisogno di farsi conoscere e che dunque vogliono spingere sulla valorizzazione della brand awareness.

Per realizzare un wordmark – essendo esso costituito soltanto da caratteri tipografici – si deve pertanto porre grande attenzione alla scelta del font. La scelta principale è di solito tra serif e sans-serif. Spesso però le grandi aziende commissionano la realizzazione di un font personalizzato). Attenzione anche al peso utilizzato (bold, regular, thin, ecc) e al colore.

Nei logotipi assumono una rilevanza particolare il tracking e il kerning. Anche la modifica di una lettera del nome può rappresentare il segno distintivo del logo (Vans, Braun, Dell).

Braun

Stesso discorso per quanto riguarda la scelta di caratterizzare una determinata lettera con un colore particolare (è il caso ad esempio dei loghi Nutella o Mobil), oppure la scelta di inserire una parte dei caratteri all’interno di una determinata forma (LinkedIn).

I monogrammi

I monogrammi (o lettermarks) sono invece loghi che basano la propria distintività sull’utilizzo di alcune lettere del marchio. Un esempio di monogramma? Ibm, Cnn, Louis Vuitton, Calvin Klein

Logo Calvin Klein
Logo Calvin Klein

Logomarks (o pittogrammi)

I logomark sono loghi basati su un pittogramma, ossia un simbolo o un disegno stilizzato. In molti casi il pittogramma viene accompagnato o dal nome dell’azienda oppure da un pay-off. Uno dei pay-off più famosi è “Think different” della Apple o “Just do it” della Nike.

Spesso si utilizza il cosiddetto logo verbo-visivo, ossia un logo composto da una parte verbale e una iconica (Amazon). I brand più affermati utilizzano però spesso il pittogramma da solo, senza accompagnarlo al nome dell’azienda: ne è un esempio la mela morsicata della Apple.

Con i logomarks si cerca di valorizzare maggiormente l’aspetto visual e creativo. Il ricorso al pittogramma permette al brand una maggiore personalizzazione e dunque di raggiungere un livello di riconoscibilità elevato.

Di solito pittogrammi vengono suddivisi in loghi figurativi (ossia segni che riproducono fedelmente qualcosa di esistente, come ad esempio nel caso di Puma, Wwf o Apple), loghi astratti (è il caso del “baffo” della Nike oppure di Pepsi) o loghi illustrati (Starbucks o Mulino Bianco). Alcune classificazioni comprendono anche i loghi emblema, ossia loghi inseriti all’interno di una forma (Ikea, Barilla, Alfa Romeo)

L’uso del logomark permette spesso di far capire subito il settore in cui opera il brand. Molti ristoranti inseriscono ad esempio nel proprio logo il simbolo della forchetta.

In altri casi l’immagine usata come simbolo non ha invece niente a che fare con l’attività di riferimento. Il ricorso al pittogramma in questi casi cerca di comunicare con maggior forza e incisività un valore o una specifica caratteristica del brand.

Per disegnare un ottimo logomark si deve pertanto porre estrema attenzione ai simboli usati. Forme squadrate per comunicare stabilità, nettezza e precisione e forme arrotondate per esprimere confidenzialità e flessibilità. Un ruolo di primo piano è inoltre assunto dalla scelta dei colori. Si può ad esempio sceglier di realizzare un logo monocromatico, in bianco e nero, multicolore con tinte piatte oppure utilizzando diverse sfumature, ecc.

La storia del logo Apple

Il primo logo dell’azienda di Cupertino viene progettato nel 1976 da Ron Wayne. Più che di un vero e proprio logo, si trattava di un’illustrazione ritraente Isaac Newton mentre legge un libro seduto sotto a un melo. Un disegno complesso realizzato a china, poco versatile e poco adatto ad essere riprodotto anche in piccole dimensioni.

Logo Apple con Isaac Newton
Logo Apple versione Rainbow

La mela morsicata appare nel logo per la prima volta nel 1977: il pittogramma con strisce di colore arcobaleno viene progettato da Rob Janoff, dell’agenzia di pubblicità e pubbliche relazioni Regis McKenna. A Jobs furono presentate due versioni del logo: una con la mela morsicata e un’altra senza il morso.

Sul motivo per cui la mela del logo presenti un morso si sono diffuse molte teorie. Una delle spiegazioni più diffuse in relazione alla storia del logo Apple chiama in causa l’analogia tra il suono della parola “bite” (morso) e “byte” (termine informatico).

Secondo un’altra teoria la mela morsicata con colori arcobaleno sarebbe un omaggio alla memoria di Alan Turing, il matematico perseguitato in quanto omosessuale, morto suicida a 42 anni (accanto al suo letto venne ritrovata una mela morsicata). Tra le spiegazioni circolate c’è anche quella che chiama in causa il peccato originale di Adamo ed Eva con il morso al frutto proibito.

“Uno dei più grandi misteri per me è il nostro logo – aveva dichiarato anche il dirigente Jean Louis Gassée – il simbolo del peccato e della conoscenza, morsicato e fasciato completamente dai colori dell’arcobaleno disposti però nell’ordine sbagliato. Non è possibile sognare un logo più adeguato: peccato, conoscenza, speranza e anarchia”.

A smentire tutte le varie teorie è stato lo stesso Janoff: in un’intervista il designer ha spiegato che nessuna delle spiegazioni circolate è stata in realtà alla base della sua scelta. “They’re really interesting – dice il designer – but I’m afraid it didn’t have a thing to do with it”). Queste teorie sono insomma da considerare soltanto delle leggende metropolitane (“wonderful urban legend”).

La vera storia del logo iconico Apple è un’altra. Il reale motivo per cui la mela del logo presenta un morso è solo per questioni di proporzioni, per evitare che le persone scambino la mela stilizzata per una ciliegia. “I designed it with a bite for scale – dichiara Janoff – so people get that it was an apple not a cherry”.

Soltanto in un secondo momento a Janoff è stata fatta notare l’analogia tra il suono della parola “bite” e “byte”: “It was like perfect, but it was coincidental that it was also a computer term”.

Perchè il logo Apple ha strisce rainbow? Janoff dichiara che la cultura hippy di quegli anni ha avuto grande influenza per la scelta dei colori del logo. La vera ragione per cui egli ha progettato un logo multicolore però è un’altra. “The real solid reason for the stripes was that the Apple II was the first home or personal computer that could reproduce images on the monitor in color. So it represents color bars on the screen”.

Nell’intervista Janoff precisa anche che non ha disegnato il logo originario al computer. “At that time – precisa il designer – it was all pencil and paper, glue and cut paper, pens and all that stuff”. A quanto si apprende Jobs non avrebbe fornito alcuna indicazione particolare per la realizzazione del pittogramma. Nessun vero e proprio brief insomma (“really there was non brief”). L’unica richiesta di Apple a Janoff fu: “don’t make it cute”.

La mela morsicata versione “rainbow” con strisce orizzontali multicolori continuerà ad apparire sui prodotti Apple fino al 1998, anno in cui vengono apportate modifiche. A partire da quel momento il logo perde la colorazione arcobaleno per diventare monocromatico e lucido.

Nel corso degli anni la società di Cupertino apporta al logo nuove modifiche (versione “translucent”, “aqua” e “glass”). Il pittogramma assume così un aspetto sempre più professionale ed elegante

L’importanza del negative space nel logo design

Da sottolineare infine come molti pittogrammi siano progettati con la tecnica del negative space basata sul rapporto sfondo – primo piano. Il negative space è un concetto strettamente legato alla filosofia della Gestalt.

Proprio in relazione all’importanza dello sfondo bianco, Massino Vignelli nel “Canone Vignelli” dichiara: “White space for me is a very important element in graphic composition. It is really the white that makes the black sing. White, in typography, is what space is in Architecture. It is the articulation of space that gives Architecture the perfect pitch”.

Logo dinamico o generativo (l’identità dinamica)

In alcuni casi si può decidere di progettare non un logo classico classico, bensì un logo dinamico o generativo. Un luogo dinamico o generativo è un logo che cambia a seconda del contesto in cui viene utilizzato. Il logo dinamico può inoltre variare in base ad altre valutazioni o indicazioni.

Uno dei primi loghi dinamici ad esser stato progettato è stato quello di MTV ad opera del collettivo Manhattan Design. Assai innovativo il logo per Visit Nordkyn progettato dal Neue Design Studio: il logo cambia automaticamente forma e colore a seconda delle variazioni meteo.

Visit Nordkyn
Logo Visit Nordkyn

Un altro progetto interessante di logo dinamico e di city-branding è rappresentato da “è Bologna”. Sulla base delle forme geometriche rintracciabili in simboli di Bologna (come la croce o il giglio nel Gonfalone) è stato realizzato un alfabeto di segni geometrici. In relazione alla parola che vogliamo associare a Bologna (o meglio, alla frase “….. è Bologna”), otteniamo un logo specifico personalizzabile con il colore preferito.

E' Bologna logo
Logo E’ Bologna

Anche il graphic Designer Wolff Olins ha progettato identità visive dinamiche molto interessanti, come ad esempio per il logo NYC o per AOL.

Wolff Olins AOL
Wolff Olins AOL

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